malinconia
/ma·lin·co·nì·a/
sostantivo femminile
- 1.
Stato d’animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall’indugio rassegnato o addirittura compiaciuto, nell’ambito di sentimenti d’inquietudine o delusione.
“la m. dei romantici” - 2.
Anticamente, l’umor nero, uno dei quattro umori generati dall’organismo umano, cui si attribuivano malefici e spesso fatali influssi sulle funzioni vitali.
«Perché», si chiedeva Aristotele, «gli uomini che si sono distinti nella filosofia, nella vita pubblica, nella poesia e nelle arti sono melanconici?». Al tempo dei greci l’esercito dei melanconici comprende eroi mitologici e filosofi come Ercole, Eraclito e Democrito. Saturno, l’ architetto del mondo, dopotutto era il loro dio e lo rimane anche oggi.
Da allora la melanconia si è affacciata dietro ad ogni balzo creativo della nostra specie e nessuna epoca – dall’Umanesimo al Romanticismo – ha potuto farne a meno per evolvere e progredire. Vera musa inquietante, attraverso il tempo ha contagiato Baudelaire (lo Spleen), Virginia Woolf, Samuel Beckett per approdare ai paesaggi mentali di questo millennio.
Le definizioni moderne di malinconia si sovrappongono al suo mito: quando scende su di noi porta con sé la sensazione di vivere dietro ad una pellicola che non si può perforare, in una casa senza finestre da cui non si può fuggire. E poco importa se la pellicola o i muri siano soffici o duri, trasparenti o opachi.
Lo sguardo di chi valuta il mondo al di là di qualsiasi prospettiva di fuga può essere pensoso o dolcemente nostalgico. Alcuni dipinti lo sono. Passioni trattenute spingono dall’interno dell’esperienza, orientando la visione dell’artista come una preziosa risorsa. Qui inizia la creazione dell’arte, qui continua il viaggio malinconico iniziato migliaia di anni fa.
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